Faenza (RA) 1888 Merate (LC) 1965

ceramista, artista

Entrato giovanissimo a far parte delle “Fabbriche Riunite di Ceramiche” di proprietà del conte Cavina, Aldo Zama fece una rapida carriera. Presente già nel 1907 ad un concorso d’arte, gli venne conferito il primo premio per le arti applicate. Nel 1911, divenne direttore artistico del reparto di decorazione della sopracitata fabbrica, che nel frattempo aveva cambiato nome e proprietario. La lasciò nel 1925 ed aprì un laboratorio proprio in vicolo Contradino al n. 8. Il laboratorio era situato al piano terra della propria abitazione, con la fornacetta a legna sistemata in una piccola stanza nel cortile. Qui si produceva maiolica nell’antico stile faentino sulle orme della fabbrica da cui Zama proveniva. Mancano quindi le caratteristiche personali, se non per qualche pezzo prodotto dallo stesso Zama, il quale eseguiva centri figurati e motivi intrecciati nei vari stili, dallo stile severo, al fogliame d’acanto e alle raffaellesche. Zama alternava alle decorazioni classiche quelle a lustri e smalti colorati su vasi e statuette. Non disdegnava nulla pur di lavorare e guadagnare. Prese diversi contatti con commercianti e ricevette varie ordinazioni: il 1929 fu un anno particolarmente fertile. La maggioranza dei pezzi recanti stemmi ecclesiastici, veniva inviata in meridione, grazie alla collaborazione di un commerciante siciliano che era in stretto contatto con Zama. Egli si cimentava anche nel decoro a pannelli, raffiguranti Santi Madonne, che venivano destinati a chiese, seminari e santuari in varie località italiane. La sua personalità influiva molto sulla gestione commerciale. Si presentava al compratore come uomo colto nelle arti, accondiscendente, senza pregiudizi di carattere politico o ideologico. Accettava ogni tipo di clientela purché gli procurasse denaro sufficiente per mandare avanti il laboratorio. Nei confronti degli operai e dei prestatori d’opera occasionali, quando era il momento di saldare il salario, iniziava sempre una contrattazione che portava a ridurre di qualche lira ciò che era stato concordato. Nonostante ciò la partecipazione alla produzione rimaneva vantaggiosa per molte persone costrette al doppio lavoro per sopravvivere, e questi lavoratori non dipendenti erano sempre più accomodanti dei dipendenti fissi. Poiché il datore di lavoro doveva assumere l’impegno di fare lavorare il dipendente non meno di 48 ore settimanali, la discontinuità del lavoro creatasi in questo periodo faceva sì che l’operaio fisso fosse continuamente minacciato dalla disoccupazione. Lo stesso Zama si trovò costretto, in un primo momento, a far lavorare gli operai mezza giornata, poi dovette licenziarli anche se il laboratorio non si chiuse e continuò ugualmente a produrre. Nel 1938 Zama iniziò nuovamente ad assumere decoratrici. Nell’ingresso, vicino alla mostra, aveva lo studio personale, che serviva anche da ufficio ed era ricco di libri, si diceva fosse uno dei maggiori collezionisti di libri d’arte del faentino. La passione per l’arte l’aveva spinto a formarsi culturalmente e lo portava a volte ad intrattenere dialoghi animati con personaggi del mondo artistico. Amava, oltre alla pittura e alla scultura, la musica, che seguiva costantemente nei concerti che si tenevano a Faenza. Amava anche le comodità e il rispetto della propria persona e nonostante certi suoi modi severi, creava attorno a sé un ambiente familiare anche con i dipendenti. Non si distinse particolarmente nell’ambito delle botteghe faentine, perché non si distaccò mai dalle riproduzioni. In certi casi le sue decorazioni riecheggiavano i decori del periodo liberty, che inseriva in molti oggetti diversamente funzionali. Quello che contava soprattutto per lui era tuttavia l’aspetto decorativo dell’oggetto e un cero carattere aggraziato. Nonostante le innumerevoli crisi economiche, affrontò la seconda guerra mondiale in piena attività. Continuò, finito il conflitto, fino al 1956 anche se diminuì gradualmente la produzione ed il numero delle persone occupate. La chiusura della bottega avvenne in concomitanza del matrimonio della figlia (1956), che trasferitasi da Faenza fu seguita dal padre. Dopo la partenza da Faenza si parla poco di Aldo Zama. Morì in un paesino del Lazio, in un convento dove aveva trovato ospitalità. (tratto da: DIRANI S. – VITALI G., “Fabbriche di maioliche a Faenza dal 1900 al 1945”, Faenza, Edit, 2002, pp. 175-179.

PARTECIPAZIONI AL CONCORSO NAZIONALE DELLA CERAMICA (FAENZA):
I edizione del 1938
III edizione del 1941
IV edizione del 1942
XI edizione del 1953
XII edizione del 1954 Partecipa Fuori concorso.
XIII edizione del 1955