Nel cuore della città il settecentesco Collegio dei Gesuiti ospita i tesori artistici e archeologici di Rimini e del territorio, da un milione di anni fa al Novecento, con i momenti più significativi nelle epoche romana e malatestiana. La narrazione è arricchita dalle ceramiche, per lo più da scavo, che illustrano, con l’arte dei vasai, i cambiamenti nell’alimentazione e nell’imbandire la tavola dal Neolitico al Seicento. Nella Sezione archeologica la ceramica ha gli esiti più originali in età romana repubblicana: alla fondazione di Ariminum risalgono i pocola deorum, i “vasi dedicati agli dei”, e una batteria da cucina. Il colpo d’occhio rende idea dell’intensa produzione locale di “servizi” da mensa e di lucerne nella ceramica a vernice nera tipica dell’età, realizzati dalle stesse officine che sfornano vasi per la dispensa e la cottura, e pesi da telaio. Notevoli le terrecotte architettoniche, ben rappresentate dal contesto di San Lorenzo in Strada. In età imperiale, caratteristiche sono le anfore vinarie a fondo piatto prodotte nelle fornaci del territorio romagnolo, e curiosi i vasi ad uso “terapeutico” e “da farmacia” dalla domus del Chirurgo.

Nella Rimini medievale “maiolica arcaica” e “graffita arcaica padana” insieme ai vasi da cucina connotano la produzione locale, destinata anche alla corte dei Malatesta, in cui rientrano forse le mattonelle del fregio di Castel Sismondo. Se dalla metà del ‘400 modesta è la presenza di ceramiche graffite, più numerose sono le maioliche con ornati tipici della tradizione romagnola, motivi araldici, simboli religiosi e la figura umana che, nel ‘500, è protagonista degli esemplari di istoriato da collezioni. Oltre al vasellame sono esposte statuette e formelle in ceramica nonché targhe devozionali – tra cui emerge il complesso in maiolica realizzato nella bottega riminese di Giovanni Antonio Garella che raffigura la Madonna con il Bambino e santi (XVI sec.) – e una stufa in maiolica con scena di matrimonio (dextrarum iunctio), di ispirazione neoclassica (XIX sec).