Frequentò la Scuola d’Arte e Mestieri diretta dal pittore Antonio Berti, sotto la cui guida si perfezionò nel disegno; contemporaneamente si esercitò nella plastica avendo per insegnante M. Campello. Vinta una piccola borsa di studio, si recò nel 1901 a Firenze per seguire i corsi dell’Accademia. Nel 1902 per guadagnare qualche cosa si mise a fare piccole plastiche decorative da riprodurre in maiolica per le Fabbriche Riunite (ex Farina). Verso l’autunno del 1903 fuggì a Roma con la sua modella e ispiratrice, Bitta. A Roma fece illustrazioni per il giornale La Patria, che gli organizzò anche una mostra nella propria sede (giugno-luglio 1904). Tornato a Faenza, si rimise al lavoro facendo modelli per la fabbrica di maioliche dei Fratelli Minardi e opere plastiche e disegni, tre dei quali furono accettati ed esposti alla Biennale veneziana del 1905. Vittorio Pica fu entusiasta del suo lavoro e lo fece invitare anche all’Esposizione d’Arte del 1906 a Milano.
Essenzialmente disegnatore e plasticatore, fu curioso di ogni tecnica: oltre che cimentarsi nella pittura ad olio e a pastello, fece prove di incisione su legno, su rame e litografiche. Intorno a lui si riunì un folto gruppo di giovani, di letterati e uomini di cultura uniti in una specie di cenacolo, il cosidetto “Cenacolo Baccarini”. L’arte del Baccarini risente della cultura ecclettica allora imperante: vi sono echi della tradizione ottocentesca, ma anche di moduli preraffaelliti, dell’ultimo Segantini e di Pelizza da Volpedo, nonché del Liberty e delle Secessioni, il tutto però dominato dalle due componenti dell’umanitarismo e del realismo romagnolo.
Il nucleo più rappresentativo della sua opera è quello dei disegni. Fra i soggetti ripetuti, oltre ai familiari (la madre, la sorella, la figlia Maria Teresa) e alla sua compagna Bitta, è l’autoritratto in cui il bel volto scarno e pensoso è spiritualmente modulato in varietà di atteggiamenti e di tecniche.