Faenza (RA) 02-10-1914 Perugia (PG) 1992

ceramista, artista

Nato a Faenza nel 1914, Germano Belletti ha frequentato la locale Scuola di Disegno e si è successivamente formato all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza nel periodo del magistero di Domenico Rambelli, Anselmo Bucci e Maurizio Korach. Ancora quattordicenne inizia un apprendistato ceramico presso la bottega Trerè che gli consente una conoscenza completa dei procedimenti ceramici.
L’interesse principale per la pittura su ceramica appare evidente in prove di maestria tecnica ed esecutiva come la Sacra Famiglia del 1939. I riferimenti ai maestri del passato rinascimentale cessano ben presto mediante una accelerazione linguistica che lo porta e sintesi grafiche e stilizzazioni più attente alle innovazioni apportate dall’arte, non solo italiana, del Novecento.
Nel 1939 partecipa al Secondo Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza con Coppa con sirena a smalti policromi e, nel 1941, allo stesso concorso, riceve il premio riservato ai giovani ceramisti con un trittico a bassorilievo intitolato Annunciazione.
Frequenta le botteghe di Pietro Melandri, Riccardo Gatti e Mario Morelli soprattutto per approfondire le sue conoscenze dei materiali ceramici e per commercializzare la sua produzione.
Dal 1941 la sua attività ceramica si connette con la pratica dell’insegnamento che inizia a Perugia, dove ottiene la cattedra di ceramica all’Istituto d’Arte dietro l’interessamento di Gaetano Ballardini, e che proseguirà con incarichi a Comiso, Oristano, Vasto e Arezzo.
Nel 1942 ottiene, a Faenza, il premio in onore di Gaetano Ballardini e le motivazioni della commissione giudicatrice insistono sia sulle sue innovazioni linguistiche che sulla conoscenza di adeguati mezzi espressivi.
Nel periodo perugino, Belletti dimostra una evidente molteplicità di indirizzi testimoniata dal grande pannello Maestà delle Volte del 1945, commissionata dalla locale comunità dei ceramisti, in cui si avvertono echi delle salde composizioni plastiche del Novecento italiano, dall’effigie del Patrono della città (ambedue ancora esposti all’aperto a Perugia), e dal pannello in maiolica dipinta Consegna delle chiavi a S.Pietro del 1946 in cui riemerge il tema della pittura su maiolica che, se pur in termini diversi da una semplice rivisitazione dei “secoli buoni”, diverrà il suo apporto più significativo all’arte della ceramica.
Di questa iniziale alternanza di interessi sono ulteriore testimonianza opere quali Donna con mandola del 1948, non immune da riferimenti a una sorta di cubismo sintetico sollecitato dal picassismo dilagante di quegli anni, Figura di donna seduta, dello stesso anno, riedizione ceramica di una figura dei Tarocchi e la Madonna in via dei Priori a Perugia adagiata sul recupero della tradizione plastica quattro-cinquecentesca. A Perugia, Belletti realizza anche il grande pannello della Farmacia Bolli assieme a Leo Ravazzi, docente di Plastica nel suo stesso Istituto.
Con decisione, comunque, Belletti consolida sempre più la sua ricerca in forme semplici, raramente aggettivate plasticamente, sulle quali interviene per via pittorica, con impasti a rilievo e con grafie sottilmente incise. Il rinnovamento del repertorio figurativo non indulge tanto, come potrebbe in qualche caso apparire, al recupero di elementi della tradizione popolare ma tende piuttosto ad inserirsi nell’alveo di un aggiornamento della ceramica posta a stretto contatto con le coeve esperienze pittoriche. Decisiva deve essere stata la visione delle ceramiche di Picasso donate al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza a partire dal 1950 ma si possono riscontrare tangenze anche con il lavoro pittorico di altri protagonisti dell’arte moderna.
Viene invitato da Gio Ponti alla IX Triennale di Milano. Ponti, nell’ordinare l’esposizione del padiglione della ceramica, lo annovera tra i continuatori dell’opera di Arturo Martini, Aligi Sassu, Agenore Fabbri e Leoncillo: tra coloro, cioè, che più di altri avevano saldato i destini della ceramica con le più avvertite tendenze artistiche contemporanee.
Nel 1951 viene premiato al Concorso Nazionale di Nove con il pannello L’uccisione del minotauro, nel 1952 realizza Tauromachia per la Società Maioliche Deruta, nel 1954 ottiene un premio al Primo Concorso Nazionale di Deruta con Piatto con colomba e nel 1956 vince il Premio Faenza, ex aequo con Nanni Valentini, con Grande coppa a campana, decorata internamente e esternamente con figure di pesci e un volto umano fortemente astrattizzati.
Nel periodo di permanenza a Comiso i temi picassiani acquistano maggiore veemenza espressiva con l’uso di colori vivaci e con oggetti d’uso prodotti in esemplare unico e adattati in forme scultoree (Fiasca antropomorfa del 1959).
Con il trasferimento all’Istituto d’Arte di Comiso (1958 ca.) si dedica, oltre che alla ceramica, alla lavorazione dei tappeti e al legno. Interessi, questi, che amplia a Vasto lavorando i metalli, gli smalti e le pietre preziose. In questo periodo realizza statue in ferro e cinque di queste, sintetiche e scabre figure di guerrieri armati di grandi dimensioni, vengono donate al Comune di Faenza per essere destinate ad un’area pubblica. Purtroppo il suo munifico dono è ancora in attesa di degna sistemazione.
Oltre che alla scultura in ferro e in bronzo si dedica anche alla pittura.
Negli anni Ottanta riprende una esclusiva attività ceramica che, in una lettera del 1985 al fratello Ermete, così descrive: “Lavoro solo quando ne ho voglia. Abbandonate le ricerche astratte, cerco di rappresentare, simbolicamente, gli aspetti della “condizione umana” vista dalle diverse angolazioni: il dramma, il sogno ecc. Ottimismo e pessimismo si alternano come specchi dei tempi in cui viviamo. Credo che il mondo sia sempre stato così e che anche gli artisti rinascimentali con le Crocifissioni e le Resurrezioni volessero dire la stessa cosa e che lo “sporco” di quei tempi non fosse tanto inferiore a quello di oggi se spingeva Michelangelo a scrivere “non veder, non sentir m’è gran ventura…”. Ovviamente parlo del mio punto di partenza; per quanto riguarda poi i traguardi artistici che raggiungo… lascio ai posteri l’ardua sentenza; senza presunzioni. Nella babele dei linguaggi artistici il disorientamento è grande; e allora è meglio seguire il proprio istinto”.
In questa frase è raccolto il senso di un lungo operare che non ha esitato a confrontare gli iniziali, aulici, ideali di perfezione formale e pittorica con le più convulse manifestazioni artistiche di un secolo critico e corrosivo ma anche felicemente propositivo e sotto il segno, comunque, di un mai rinnegato ideale di grazia e di eleganza.
Se la forma espressiva di riferimento per la ceramica italiana del Novecento, nel suo tentativo di affrancamento da ambiti decorativi e artigianali, è stata la scultura, va comunque registrata anche una non meno rilevante attenzione prestata alle coeve esperienze pittoriche: ambito, quest’ultimo, cui Belletti si è riferito e dedicato fino alla partecipazione al Concorso di Faenza del 1991 divenendone, soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta, un alfiere non ancora pienamente apprezzato.
Il retaggio della pittura, che per secoli aveva fornito modelli esemplari a generazioni di ceramisti in una sorta di mediazione e di traduzione ad uso intimo e domestico dei temi del mito, della storia o del soprannaturale, permane in Belletti e in altri artisti-ceramisti del periodo quali Aligi Sassu, Tono Zancanaro, Salvatore Meli, Andrea Perini e Giuseppe Petucco contribuendo a mantenere aperte le pagine di un libro sul quale, come dimostrano le più recenti esperienze, ancora molte pagine restano da scrivere.
L’artista muore a Perugia nel 1992.
La sua opera è stata esposta in mostre personali e collettive a Perugia, Milano, Vicenza, Faenza, Teramo, Messina, Catania, Tarante, Forlì, Gualdo Tadino, Deruta, Gubbio, Lerici, Monte San Savino, Roma (Vili Quadriennale d’Arte), Termali, Capo d’Orlando, Vasto, Comiso, Monza, Noto e Lodi. All’estero ha esposto a Oslo, Monaco, Dresda, Parigi, Lisbona, Barcellona e Valencia. Si sono interessati criticamente al suo lavoro Armando Ventura, Antonio Corbara, Giuliano Zanotti, Gio Ponti, Giuseppe Liverani, Ugo Nebbia, Dodo Ballardini, Giulio Busti e Fausto Cocchi.

PARTECIPAZIONI AL CONCORSO DELLA CERAMICA (FAENZA):
II edizione del 1939 (Menzione d’onore nel V TEMA “Riservato ai giovani ceramisti”)
III edizione del 1941 (Premio nel IX TEMA “Oggetto a tema libero riservato ai giovani”)
IV edizione del 1942 (Partecipa al TEMA3 “Centro da tavola figurato”. Partecipa al TEMA 4 “Vaso decorativo”. Vincitore del TEMA5 “Piatto decorativo”. Partecipa al TEMA 6 “Plastica a tutto o mezzo tondo oppure rivestimento ornamentale”, in diverse sottosezioni, ovvero: “Soggetto sacro”, “Soggetto ispirato alla redenzione della terra”, “Soggetto libero per l’ornamento della casa”. Partecipa al TEMA 7 “Servizio da piccola colazione”)
IV edizione del 1946 (Vincitore del Premio “Gaetano Ballardini”)
VII edizione del 1948
VIII edizione del 1949 (Opera segnalata per l’acquisto)
IX edizione del 1950 (Opera segnalata per l’acquisto)
X edizione del 1952
XI edizione del 1953 (Vincitore del “Prmio gaetano Ballardini” per il merito ceramico)
XII edizione del 1954 (Opera segnalata per l’acquisto)
XIII edizione del 1955
XIV edizione del 1956 (Vincitore ex-aequo, con Gian Battista Valentini, del Premio Faenza con il pannello “Donna con gatto”)
XV edizione del 1957 (Primo premio dell’ente Provinciale per il turismo di Ravenna)
XVI edizione del 1958
XVII edizione del 1959
XLVII edizione del 1991.