Nato a Fognano, frazione del comune di Brisighella, si iscrive all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza che frequenta dal 1962 al 1971 percorrendone tutto l’iter scolastico. L’unica figura di riferimento, in una scuola che pur annovera fra gli insegnanti maestri quali Angelo Biancini, Carlo Zauli, Augusto Betti e, tra le nuove leve, Alfonso Leoni, è, per lui, Gianna Boschi, pittrice e ceramista dagli interessi apparentemente passatisti e antimoderni. Dopo la scuola, apre un laboratorio ceramico a Faenza in cui si dedica alla riproduzione di ceramiche tradizionali. A poco a poco, sostituisce il repertorio artigianale con la produzione di piccoli oggetti in maiolica policroma (piattini, lastrine, micro sculture di pochi centimetri) sui quali annota, con una calligrafia minutissima e immagini realizzate in punta di pennello, pensieri, ricordi e immagini di un universo immaginifico e ossessivo. Con maniacale pazienza da miniaturista Melandri si è dedicato, tra naïveté e consapevolezza, a una singolare opera di introspezione dalla quale emergono sia i lontani tempi della fanciullezza, vissuti con un pascoliano amore per la natura e le piccole cose di tutti i giorni, che i turbamenti provati di fronte a una modernità identificata con un macchinismo pesante, distruttivo e portatore di morte. Si interessa ai prodotti dell’industria pesante europea che ha fornito il materiale bellico per la Prima Guerra Mondiale e
effettua viaggi a Terni per visitare la Società delle Fucine. Raccoglie e accumula nel suo laboratorio una vera e propria collezione di grandi reperti industriali in ferro che esorcizza nelle sue piccole e fragili opere in maiolica.
Il microscopico e il macroscopico si fondono nel suo immaginario quasi a simboleggiare una condizione umana in lotta perenne contro i mostri da essa stessa generati.