La ceramica tra le colline delle Marche

Una terra ricca di storia. Uno scrigno di tesori. In questo itinerario vi presentiamo un viaggio alla scoperta della ceramica marchigiana con radici antiche.

 

Tutta raccolta intorno alla sua piazza del Popolo, adorna della fantasiosa fontana dei Tritoni, Pesaro ha un centro storico regale, ancora in buona parte cinquecentesco.

La città vanta di un’antica tradizione ceramica: Gianbattista Passeri per primo studia e indaga la produzione ceramica pesarese.

 

Nella seconda metà del Quattrocento diventa uno dei centri ceramici artisticamente più importanti e influenti. Le maioliche pesaresi conoscono un grande sviluppo e arrivano in tutte le principali corti italiane.

Nel 1538 il trasferimento da Urbino a Pesaro della corte del duca Guidubaldo II Della Rovere favorisce una nuova stagione dell’arte ceramica. Intorno agli anni Quaranta inizia la produzione degli istoriati che contribuiscono a rendere celebre il ducato di Urbino.

 

Il Settecento è ancora una volta un secolo di grande fioritura della ceramica. Due sono i principali decori che porteranno Pesaro al successo: il motivo al ticchio e quello alla rosa dipinta con colori a smalto.

Fantasiosa e creativa la rosa di Pesaro riscuoterà un successo talmente grande da essere ancora oggi il simbolo della produzione maiolicara pesarese.

 

Nell’Ottocento, Pesaro si specializza nella fabbricazione degli scalini: numerosissimi e di una sorprendete varietà, vengono realizzati con le più diverse tecniche decorative e con molteplici impasti ceramici.

La ceramica italiana, in questo periodo, è volta al recupero della grande tradizione rinascimentale. Il ritorno agli splendori del Rinascimento è particolarmente facilitato a Pesaro per la presenza della collezione del cavalier Domenico Mazza.

Nel 1880 Vincenzo Molaroni porta la ceramica di Pesaro a fama internazionale: la marca “Molaroni Pesaro made in Italy” dipinta sugli oggetti, testimonia il consenso della produzione pesarese nel mondo.

 

L’attività ceramica pesarese è raccolta all’interno delle sale dei Musei Civici, nella sede di Palazzo Mosca, un tempo residenza di una delle più importanti famiglie della nobiltà pesarese.

La collezione museale è disposta nelle cinque sale del primo piano del palazzo: la ceramica e le arti decorative insieme agli arredi e le sculture, sono esposte nella seconda sala, una sorta di “Wunderkammer” (le stanze della meraviglia) del museo pesarese. Per quel che riguardala maiolica è esposta una selezione delle più rappresentative opere istoriate dei principali centri dell’antico Ducato di Urbino.

All’interno del cortile d’ingresso dei musei è collocata La Medusa che accoglie i visitatori introducendoli alle sale espositive, opera di Ferruccio Mengaroni. L’imponente Medusa ritrae i lineamenti dell’artista pesarese, infatti La leggenda narra che, per riprodurre il proprio volto, l’artista si fosse servito di uno specchio che poi si ruppe.

I Musei Civici pesaresi hanno una caratteristica fondamentale che è quella della provenienza dal collezionismo privato.

 

Il nostro viaggio si sposta a qualche chilometro nell’entroterra, nella città di Urbania, chiamata nel Medioevo Castel delle Ripe, ribattezzata in Casteldurante quando il provenzale monsignor Guillaume Durand la fece ricostruire nel 1284.

I Montefeltro vi giunsero nel 1424. Il duca lasciava spesso la sontuosa reggia della capitale per raggiungere la residenza estiva, l’amato palazzo a Casteldurante, percorrendo una via che ancora oggi si chiama “la strada del Duca”.

Nel 1636 la città venne ribattezzata Urbania in onore di papa Urbano VIII.

 

La ceramica dell’antica Casteldurante vanta una tradizione plurisecolare: procede di pari passo con la storia della città, intersecandosi con le sue vicende e con quelle dei suoi signori, prima i Montefeltro e poi i Della Rovere.

 

Il periodo più felice fu il Cinquecento, quando, nutrita dalla cultura raffaellesca e dall’influenza di pittori, poeti e umanisti della corte ducale, l’arte ceramica di Urbania si diffonde al punto che ancora oggi esemplari di ceramica durantina sono presenti in molti musei nel mondo.

In questo secolo si producono alcune tra le più belle maioliche del Rinascimento. Nelle botteghe di Casteldurante vengono creati varie decorazioni con fiori, stemmi, festoni, cerquate (foglie di quercia) in omaggi ai Della Rovere, o decorazioni geometriche, a spirale, sempre attenendosi alla gamma dei colori tipici sapientemente accostati nel gioco delle mezze tinte e dei toni.

 

Dalla fine del Settecento, la produzione ceramica mette in repertorio la terraglia “a uso inglese” sfornando oggetti di uso comune e manifestando così anche, in ambito artistico, il declino politico.

Negli anni del secondo dopoguerra, il ceramista sardo, Federico Melis, dà nuovo impulso alla tradizione della maiolica in città.

 

La raccolta di ceramiche più completa di Urbania è visibile nel Museo Leonardi, ubicato nell’ex Palazzo Vescovile. Il Museo è articolato in varie Sale nelle quali è suddiviso l’eterogeneo patrimonio della diocesi: il Lapidario, da cui si accede al piano superiore, che ospita anche la Biblioteca ecclesiastica e gli Archivi diocesani, il Salone d’onore della diocesi, dove si svolgono le attività dell’Istituto culturale diocesano, la Sala dell’argenteria, la Sala dei paramenti sacri, la Sala Giustini del Vescovo, la Sala dei manieristi metaurensi con i bozzetti e le opere di alcuni tra i più rappresentativi pittori di quel periodo. Da vedere anche la Sala dei ricevimenti e la Sala delle Madonne. Nelle ultime Sale è allestita la sezione dedicata alla ceramica urbinate: dalle maioliche di Castel di Ripe (1200-1272) a quelle di Casteldurante (1271-1636), a quelle di Urbania (1636-1993).

 

Un altro luogo di interesse storico che ospita raccolte di ceramiche e terrecotte è il Museo Civico di Palazzo Ducale. Il Palazzo fu costruito su una preesistenza fortificata eretta dai Brancaleoni e ubicata lungo l’ansa settentrionale del fiume Metauro. L’edificio subì degli interventi successivi a opera dell’architetto Girolamo Genga, per l’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, che la scelse come residenza fino alla sua morte nel 1631.

Nelle sale dedicate alle ceramiche di Casteldurante, uno dei centri più importanti nei secoli XV – XVI – XVII, sono esposti reperti dal ‘400 al ‘700 e frammenti rinvenuti in Urbania, come ad esempio boccali, ciotole, crespine, piastrelle. Inoltre, si trovano disegni di ceramisti e pittori legati all’ambiente ceramistico, come i “cartoni” utili alla realizzazione degli istoriati, dal ‘400 al ‘700, e anche un disegno del Piccolpasso, trattatista della ceramica del ‘500. Vi è conservata anche una notevole quantità di frammenti, frutto di recenti scavi sotto le mura.

 

Oggi Urbania è un centro di grande vivacità culturale, con centri studio dove vi si tengono anche corsi di artigianato.

 

Viaggiando per circa 130 km più a sud, incuneato nella valle del torrente Monocchia, Appignano si presenta con il ben conservato nucleo medievale ancora cinto dall’antica cerchia di mura, da cui svetta un quattrocentesco campanile cuspidato.

 

La tradizione ceramica di Appignano risale a prima del 1500, testimonianza della presenza di fornaci e fornaciai risultanti nei registri delle Riformanze. Il primo vasaio appignanese di cui si ha notizia documentata fu Pasqualino Mariani di Caldarola. Prima dei suo arrivo, la vita dei ceramisti appignanesi erano le “còcce”, ciotole fatte di semplice argilla e modestamente dipinte: i colori utilizzati maggiormente erano il marrone, il nero, il verde, il bianco sporco e il giallo pallido.

L’attività dei vasai si protrasse per il XVII e il XVIII secolo caratterizzandosi per lo più per la produzione e la creazione di vasellame, cocce, piatti, stoviglie e soprattutto brocche tipica della ceramica del paese. Per l’epoca erano artisti affermati i Ceccaroni di Recanati e i neofuturisti Tulli e Politi, che stimolarono il cambiamento e l’innovazione della produzione ceramica.

Nella produzione antica fino agli anni ’50 circa la forma tipica della ceramica appignanese è la brocca che nel tempo si è evoluta e trasformata per forme, grandezze e colori. Accanto alla brocca si lavoravano le coccette, piccole riproduzioni delle stoviglie utilizzate quotidianamente. Le coccette erano la produzione caratteristica di Appignano, insieme alle campanelle e ai fischietti.

Una delle creazioni più recenti è la brocca d’oro, utilizzata per premiare i vincitori della corsa delle brocche che si svolge nel corso delle feste organizzate presso la Via dei Vasai per mantenere viva la memoria degli antichi vasai.

 

La collezione ceramica di questa città è raccolta all’interno del Palazzo Comunale: ne fanno parte circa 160 manufatti in ceramica ed un tornio. Tra le collezioni si possono trovare anche 16 pannelli fotografici con foto d’epoca.

I pannelli fotografici rappresentano un ideale percorso iconografico e storico, e sono posti lungo le scale dell’edificio: il tema della lavorazione dell’argilla è declinato secondo differenti percorsi.

I manufatti sono esposti in vetrine espositive di varie dimensioni di vetro temperato. Essi non sono “antichi” ma rappresentano idealmente tutti quelli realizzati nel paese fino ai giorni nostri: sono suddivisi in terrecotte e ceramiche artistiche, e il primo gruppo è organizzato secondo la destinazione d’uso per la quale sono state create.

 

Nella città, ogni anno in estate, viene organizzata la manifestazione “Palio della Brocca d’Oro”, un evento per tenere viva la memoria storia e per valorizzare l’arte della lavorazione della ceramica, e vengono organizzati anche giochi del Palio.

Un altro evento importante è il mercato della ceramica e dell’arte contemporanea che porta ad Appignano visitatori da tutta Italia e tutta Europa. Un evento che nasce dall’impegno e dalla passione del maestro vasaio Fabio Tavoloni: gli artisti provenienti da tutta la Nazione vengono ad esporre le loro opere proprio come nell’antica via dei vasai, dove si lavora l’argilla da 500 anni.

 

Il torrente Castellano e il fiume Tronto delimitano a venticinque chilometri dall’Adriatico una penisola pianeggiante che il colle dell’Annunziata protegge dall’unico lato di terra: Ascoli Piceno, l’ultima tappa del nostro viaggio. Una città severa, nobile, dalla compatta tessitura medievale su resti romani, è caratterizzata dal colore caldo del travertino.

 

L’attività produttiva risale ai secoli XIV – XVI, prevalentemente con stoviglie di uso comune dipinte quasi sempre a tinta unita con pigmenti bianchi, turchini, rossi o neri, prodotti nei tanti mulini presenti sul territorio. L’attività di pittori maiolicai come Emidio Marini e Ciccone Riccitelli lasca presupporre anche la lavorazione di maioliche artistiche. Della maiolica ascolana medievale e rinascimentale si conoscono solo le “scodelle” disposte a croce e sistemate sulle facciate delle chiese più antiche: il gruppo meglio conservato è quello visibile sulla facciata della chiesa di S. Venanzio.

 

La produzione di maiolica ad Ascoli Piceno vive la sua migliore stagione a partire dalla fine del Settecento.

La dinastia dei Paci introdusse nuovi motivi decorativi nella maiolica ascolana: i paesaggi con rovine e la rosellina ascolana. I paesaggi sono sempre privi di figurine; li troviamo per lo più al centro di piatti mistilinei di cestine sbaccellate, talvolta completati da decorazioni a finto marmo o da boccioli di fiori.

Caratteristici della manifattura ascolana sono poi i motivi floreali.

 

La produzione ceramica di questa città vive un momento di particolare vitalità tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, con la manifattura Matricardi che esportava anche all’estero.

Gli artigiani del paese aprirono numerose botteghe nel centro storico, in cui viene oggi portata avanti la tradizione ceramica,con decorazioni e forme ispirate allo splendore dell’are ascolana, ai lavori del Matricardi, dei Paci e dei pittori attivi nella città nell’ultimo Quattrocento.

 

I manufatti ceramici di Ascoli sono visibili all’interno del Museo dell’Arte della Ceramica, ubicato al fianco della chiesa romanica di San Tommaso. Il museo è articolato in cinque sezioni che consentono di ripercorrere le vicende della produzione ceramica ad Ascoli Piceno, dai bacini in maiolica arcaica risalenti al XV secolo, alle produzioni dell’Otto e Novecento: vasi, piatti, urne, caffetterie, tazze realizzate dalla manifattura Paci (1808-1856), e dalla manifatture Matricardi (1920-1929) e F.A.M.A.

Di notevole importanza è la sezione dedicata alla serie di mattonelle dipinte dai maggiori artisti castellani Francesco e Carlo Antonio Grue e Berardino Gentili, provenienti dal convento ascolano di Sant’Angelo Magno.

Il Museo dispone di un attrezzatissimo laboratorio corredato di tornio e forni.

 

 

 

Per organizzare la vostra visita, vi consigliamo di rivolgervi agli Uffici Informazioni Turistiche delle varie città, che troverete in questo portale, nelle pagine dedicate alle città.

 

 

 

Fonti

Ricerche e censimenti del progetto Mater Ceramica

AiCC e Touring Club Italiano (a cura di) (2019), Le città della Ceramica, Milano, Touring Editore

Pesaro, http://www.buongiornoceramica.it/city/pesaro/

Urbania, Museo Leonardi, http://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Cultura/Ricerca-Musei/Id/246/URBANIA-Museo-Diocesano-Leonardi

Palazzo Ducale, http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/musei/urbania-museo-civico-palazzo-ducale.html

Appignano, dossier AiCC

Ascoli Piceno, Museo dell’Arte della Ceramica, https://www.ascolimusei.it/siti-museali/museo-dellarte-ceramica/