Le maioliche della donazione Contini Bonacossi agli Uffizi, pur testimoniando solo una parte dell’imponente raccolta originaria, denotano il gusto collezionistico privilegiato nella prima metà del Novecento; si può infatti intravedere la collezione nella sua integrità soltanto nelle foto d’epoca prima della diaspora che in più riprese ha frazionato il complesso. Si percepisce osservando le vecchie immagini che degli oltre cento esemplari ceramici presenti sono stati alienati numerosi piatti e vasi da farmacia di Deruta, Castelli, Montelupo, Venezia, dell’antico Ducato di Urbino e maioliche ispano-moresche. Nei tre nuclei più cospicui oggi rimasti della originaria raccolta (agli Uffizi e all’Istituto di Studi sul Rinascimento di Firenze, al Museo di Castel Sant’Angelo a Roma) appare indicativa la prevalenza dei contenitori da farmacia e spezieria che palesano affinità iconografiche e morfologiche di base. Si riconoscono infatti numerosi esemplari di albarelli e brocche di varia fattura collocabili fra XV e XVIII secolo, con o senza cartiglio iscritto, riconducibili alle manifatture di Montelupo, Firenze, Faenza, Deruta, Castelli d’Abruzzo, Venezia e della Sicilia. Completano la raccolta le anfore e i piatti istoriati del Ducato di Urbino e le suggestive maioliche a lustro ispano-moresche, quest’ultime probabilmente acquistate dal Contini durante la permanenza nella penisola iberica, fra 1898 e 1909, prima a Barcelona e poi a Madrid.
Le maioliche moresche degli Uffizi sono testimonianza di quella produzione ceramica della Spagna islamizzata, arricchita dall’applicazione di lustri metallici, che trovò un fiorente sviluppo nella zona di Valencia (a Manises in particolare) e poi si diffuse anche all’area catalana e aragonese. Notevole fu il flusso di maioliche lustrate che dalle manifatture valenzane giunsero in Toscana fra la fine del XIV e per buona parte del XV secolo, tramite il porto di Pisa, grazie alle numerose ordinazioni che nobili famiglie fiorentine, piccoli imprenditori, istituzioni religiose e assistenziali, commissionarono ai vasai moreschi.
(Testo a cura di Marino Marini)