Il Museo Farmacia di Roccavaldina offre al visitatore un pregevole effetto d’insieme di come appariva una spezieria cinquecentesca, costituendo un esempio unico nel suo genere. La Spezieria, ospitata da secoli, in una piccola ma suggestiva “bottega” medievale situata nella piazza del paese, proprio di fronte al castello-palazzo appartenuto alla famiglia Valdina, custodisce un corredo vascolare costituito oggi da 238 vasi di varia forma e dimensioni prodotti in gran parte presso l’officina dei fratelli Patanazzi di Urbino alla fine del XVI secolo. L’apparato vascolare della farmacia di Roccavaldina è paragonabile con quello appartenente alla farmacia del tesoro della Santa Casa di Loreto, composto da 348 pezzi prodotti ad Urbino intorno al 1570 nell’officina di Orazio Fontana, su commissione del Duca Guidobaldo II, per il Palazzo ducale e poi donata, nel 1608 al Santuario quale ex voto dal duca Francesco Maria II. Grazie al breve arco di tempo che li separa, alle loro peculiarità stilistiche e al notevole numero di pezzi che li compongono, i due corredi si integrano a vicenda fornendo agli studiosi importanti elementi di studio sulle officine ceramistiche urbinati del Cinquecento, soprattutto se teniamo conto che i Patanazzi ereditarono la tradizione stilistica elaborata dai Fontana. Tenendo conto degli usi dell’epoca è plausibile ritenere che anche i vasi della farmacia di Roccavaldina in origine potessero superare le 300 unità. Purtroppo, nel tempo parte di questi vasi si è rotta durante l’utilizzo o si é dispersa a causa di “donazioni” e furti, fino ai rimanenti 238 pezzi suddivisi in: 164 albarelli di varia altezza; 39 fiasche globulari a collo lungo; 29 brocche; 4 anfore ovoidali apode; 2 anfore da mostra con applicazioni plastiche a grottesca, una delle quali con coperchio, l’altra con piede triangolare ed anse.
I vasi non riportano alcuna indicazione farmaceutica ma la loro ornamentazione è molto interessante per la varietà, la policromia e gli accostamenti che consente. Tutti i 238 pezzi riportano sul verso uno stemma araldico e su alcuni c’è il nome di Cesaro Candia, in passato ritenuto aromatario e primo proprietario del corredo, quindi intestatario dell’emblema riprodotto sui vasi in forma di “scudo troncato con banda arancione su turchino nella parte inferiore, colomba bianca e tre stelle su turchino nella parte superiore”.